Ultimo aggiornamento 29 Ottobre 2022

O anche: la storia dell’artigiano che ama il proprio lavoro 🙂

Achille Lauro ha pubblicato “Lauro”, il sesto album di inediti, uscito il 16 aprile per Elektra Records/Warner Music Italy.
Lo ha presentato ai giornalisti in diretta su Zoom ed io ho avuto il piacere di partecipare, accreditata per conto del portale DaSapere, con cui collaboro.

Non si tratta – effettivamente – di una intervista classica, in cui si cerca di stare brevi a beneficio di chi non ha tempo/voglia di leggere.
È proprio l’intera intervista “sbobinata” in ogni singola parola, ogni singola virgola. L’ho fatto – con calma e nell’arco di diverse ore – perché Achille Lauro credo che sia un personaggio tra i più fraintesi del panorama artistico/musicale odierno. Credo che molti miei colleghi giornalisti, quando riportano le sue interviste, tendano ad interpretare e riassumere quello che dice. L’ho capito durante l’intervista, perché lui – almeno in questa occasione e per quanto mi riguarda – non ha mai risposto con monosillabi o frasi brevi. Si è dilungato e ha avuto il piacere di spiegare bene tutto. È davvero un artigiano che ama profondamente il proprio lavoro! Credo perciò che la versione integrale dell’intervista sia dovuta ai suoi affezionati fan (a cui la dedico e a cui l’ho promessa!) e a lui che ci ha regalato quanto leggerete qui sotto.
Buona lettura!

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La conferenza stampa su Zoom. Quella in alto a sinistra sono io!

Intro
I singoli “Solo Noi” e “Marilù” introducono un album punk rock, grunge, che alterna una tempesta d’animo per dare voce ai soli e agli incompresi.
Achille Lauro parla al mondo degli irrisolti, dei fuori rotta, dei falliti e così l’album fagocita vite, storie d’amore, riflessioni sul bene, sul male e ciò che sta nel mezzo.

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Ecco l’intervista

Introduciamo il nuovo album “Lauro”. Partiamo dalla copertina e da come siamo arrivati qui…
Il 2020 è stato un anno abbastanza difficile che ci ha costretti a stare chiusi nelle nostre case. Io ho cercato di fare di questo disastro qualcosa di buono. Sono una persona che scrive tanto, perché quando ho qualcosa da dire, la dico e mi sono ritrovato ad avere un centinaio di brani scritti. Ho deciso quindi di tirare fuori “1920” e “1990” prima di arrivare a questo album che rappresenta me stesso. Nei due precedenti album ho semplicemente incasellato dei pezzi che avevo. Sono nati spontaneamente, come tutte le cose che faccio. Io fotografo una parte di me. Io credo che tutti abbiamo dentro milioni di personalità e sensazioni. Io cerco, quando riesco, di fermarne qualcuna. Dei miei progetti qualcuno spesso vede solo la punta dell’iceberg, invece tutto è visto nel dettaglio. Io in studio sono ossessionato dal dettaglio. Vado a cambiare anche i respiri, quello che la gente neanche sente! Prima di far uscire qualcosa, lo metto in discussione cento volte. Oltretutto io sono cresciuto in una comune di ragazzi dove c’erano artistoidi di tutti i tipi, disgraziati, delinquenti, scappati di casa, figli di nessuno e tra questi artistoidi c’era sempre qualcuno che scriveva molto bene, che faceva musica molto bene, quindi prima di tirare fuori qualcosa io ero sempre abituato a chiedermi se fosse al livello. Prima di far uscire qualcosa, prima di scrivere qualcosa io mi chiedo cento volte se quella cosa sia perfetta, se il mio prodotto dell’artigianato vada bene. Partiamo dalla copertina. La copertina è una cover minimalista, al contrario di quello che chiunque forse si sarebbe aspettato da me in questo momento. È una tela prima di tutto, è un mio quadro, con l’impiccato al centro e il nome sotto. Anzi sono 5 i quadri, è una serie e ognuno ha una lettera in più. Questa è un po’, secondo me, la metafora della vita, la cosa contraddittoria del gioco per bambini che però rappresenta un impiccato. Questo quadro rappresenta una fine, che può essere letta in tutte le chiavi, che può essere la fine di un amore, di un percorso lavorativo, una fine in generale. La “O” rossa per me è la scelta di proseguire e dire “No, non è la fine”, rappresenta un nuovo inizio e comunque rifiutare una fine che ci era stata imposta. Nello strato sotto, le lettere sono associate ai generi musicali, che io ho incarnato a Sanremo, che per me hanno rappresentato qualcosa nel mio percorso artistico, generi musicali che portano con sé concetti molto forti che ho evidenziato a Sanremo. Adesso magari li rispiego, perché tra quello che uno pensa e quello che arriva fuori c’è sempre tanta strada e quello forse è il difficile, per cui a volte non si è compresi.

“Io credo che tutti abbiamo dentro milioni di personalità e sensazioni. Io cerco, quando riesco, di fermarne qualcuna”

Ok, vediamo le lettere una per una?
“L” è il glam rock, un genere che ha ispirato il mio percorso, rappresenta la scelta di essere, è un manifesto di libertà, qualcosa di teatrale, quello che ho rappresentato la prima serata di Sanremo. “A” è il rock’n’roll, che ho rappresentato a Sanremo la seconda serata, che per la storia dell’umanità rappresenta la sessualità, la sensualità, il ballo a due, la voglia di cambiamento, la voglia di rinascita. Questa è un po’ la parte spensierata del disco. La “U” è popular music, che è uno di quelli che preferisco, perché in Italia la musica pop è vista come una cosa di poco valore, frivola, farsi un’idea sbagliata di qualcuno. Per quello dicevo “Dio benedica gli incompresi”. “R” il punk rock, icona della scorrettezza, l’anticonformismo, il mio cercare di fare sempre qualcosa di unico, di originale, non seguire mai quello che funziona. La globalizzazione purtroppo ha fatto anche danni, per quanto sia una cosa sicuramente che ha dei lati positivi. La musica ne ha risentito. Le classifiche estive sono tutte uguali, la musica popolare va scomparendo. I ragazzi di oggi non guardano più che cosa possono e cosa vogliono fare, guardano quello che funziona e lo emulano. Quindi per me la grande benedizione è “Dio benedica chi se ne frega”. Anche perché io ho fatto sempre tutto il contrario di quello che si aspettavano da me, nella mia carriera. Quando facevo musica urban ero un outsider totale. Quando ho fatto Rolls Royce e ho deciso di portarla a Sanremo dicevano che non avrebbe mai funzionato e di continuare a fare quello che facevo. Invece probabilmente la mia vera fortuna è avere persone che mi danno fiducia, a partire dalla mia discografica, passare per Amadeus e Fiorello che hanno dimostrato di avere tanta fiducia in me. Chiudiamo con la “O” che è “classic orchestra”. Non vorrei sembrare una persona che parla del senso della vita in un’intervista per il disco! A volte vorrei anche io prenderla in modo frivolo, ma per me la musica è qualcosa di profondo in realtà, perché ferma veramente le mie personalità, alla gente può piacere o no, per me non è un passatempo. Per me gli elementi di un’orchestra sono persone che hanno studiato da soli, nelle loro stanze, sono solisti, ma che insieme vanno a formare la grande opera. E questo è un po’ il mistero della vita.

“Quello che faccio non è solo ‘Mettiti il costume, mettiti la parrucca’!”

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Sono Cinzia.
Faccio – con calma! – la giornalista e la blogger, con un occhio attento alla socialsfera.
Amo intercettare e raccontare persone, personaggi e luoghi da scoprire attraverso le interviste, che chiamo scherzosamente “torture”!

Sono appassionata di tecniche e interventi mirati a dare visibilità, come ad esempio la tortura personalizzata o il corretto uso dei social.
Contattami! oppure guarda i miei servizi qui

Qualcuno interpreta in modo superficiale e vede solo il costume…
Quello che faccio non è solo “Mettiti il costume, mettiti la parrucca”! Dietro c’è un concetto, ci sono delle ispirazioni. C’è la voglia di portare qualcosa di più grande! Io ho questa fissazione che ogni canzone abbia un colore. Da qui nasce la mia costruzione del vestito sulla canzone, che poi è tutto quello che si guarda anche, il video, la cover, il vestito, su cui perdo le notti! Ho letto tante stronzate tipo “È un modello di Gucci! È un prodotto di marketing… È questo, è quest’altro”, perché la gente tende sempre a dare una spiegazione propria rispetto a quello che è. Qui si tratta solamente di non dormire la notte, di svegliarsi presto, di essere ossessionati, perché io amo quello che faccio. Io amo immaginare un progetto e poi toccarlo con mano. Io sui set sono quello che sposta le cose, sposta le comparse, guarda il dettaglio e sono fortunato perché ho un team di persone selezionate negli anni in base a quanto amassero il proprio lavoro, a partire dal mio manager Angelo Calculli, il mio co-direttore creativo Nicolò Cerioni… Ma tutte le persone che lavorano con me amano quello che fanno. E lo fanno non solamente per lo scopo di lucro, lo fanno soprattutto perché amano quello che fanno. Non mi piace chiamare le cose che facciamo “Arte”, o “Poesie”, perché siamo veramente artigiani! Abbiamo fatto tutto dal primo giorno mattone su mattone, concependo il fallimento come possibilità e anzi il fallimento è il successo e tanti fallimenti fanno quello che siamo oggi. Quindi tutti quelli che pensano che ci hanno buttato con un calcio sul palco di Sanremo e ci hanno messo un costume non hanno capito nulla e dovrebbero farsi sette giorni con noi, per capire che livello di dettaglio e di studio c’è, a partire da quando scrivo i testi, perché anche nei pezzi più semplici c’è sempre la parola giusta, non è mai nulla a caso. E questo sono contento di dirlo qui, perché voi un po’ siete il veicolo di quello che arriva fuori ed è difficile far capire alle persone i sottostrati di quello che c’è. Perché veramente oggi con i social, con la velocità di scorrimento della bacheca, non va più di moda leggere, non tutti riescono a soffermarsi a leggere. Chi ha avuto il piacere o comunque la possibilità di fare un passetto in più verso quello che siamo, magari oggi capisce veramente quello che c’è. Infatti sono stato contento del percorso a Sanremo, perché ho avuto la possibilità da outsider come ero entrato, da squinternato e da disgraziato come mi avevano etichettato… Insomma oggi magari un po’ più di persone hanno capito che qualcosa dietro c’è.

“Non mi piace chiamare le cose che facciamo “Arte”, o “Poesie”, perché siamo veramente artigiani!”

Parliamo della musica
Questo disco nasce in maniera spontanea. Io scrivo tanto e non scrivo solo canzoni. Di conseguenza molte frasi che trovate qua, le trovate anche nel mio libro “16 marzo” uscito nel 2020. Sono riflessioni su di me, su chi sono, sull’amore corrisposto e non corrisposto, sul cinismo, sull’attrazione sessuale. Io sono una persona malinconica. Guardo al passato con malinconia e al futuro come un grande sognatore. Il presente io non lo vivo e forse è la cosa peggiore del mio carattere, però forse è il motore di tutto. Sono spinto a scrivere. Oltretutto voglio dire che magari non scrivo per sei mesi, poi in tre giorni scrivo due album! Torniamo alla musica: sono 12 facce di me che hanno qualcosa da dire e a cui tengo molto, quindi vi chiedo prima di tutto di averne cura. Non mi interessa che tutti si rispecchino, però voglio che sia preso come quello che è.

“…dovrebbero farsi sette giorni con noi, per capire che livello di dettaglio e di studio c’è”

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Quando ti dicono se ti rendi conto che il personaggio sovrasta la musica come reagisci?
Io in tutta la mia carriera ho sempre tentato di fare l’esatto contrario di tutto quello che avevo costruito, ma per una scelta personale, perché mi annoio, non voglio fare sempre le stesse cose, sono uno che va sempre alla ricerca di qualcosa. Questo vuol dire abbandonare il successo senza avere paura che domani questo possa non esserci più. Sennò sarei rimasto nella mia zona comfort. Quindi, quando mi hanno detto se non ho paura che il personaggio sovrasti la mia la musica, io ho pensato: “Che cosa dovrei fare? Dovrei a questo punto essere uguale a tutte le persone che cercano il successo costruendo il singolo estivo per forza o il pezzo d’amore anche se in quel momento non stai amando o non stai soffrendo per qualcosa?” Io sono questo e continuerò a fare questo e nei brani dove non c’è bisogno di nulla, come “C’est la vie” o come “Marilù” perché raccontano una storia, perché il vestito è la semplicità, ho già dimostrato di non mettere nulla. Di conseguenza il disco si divide in due macroaree: una parte più introspettiva che descrive bene lo stato di tormento perenne e l’altro lato caratteriale del sognatore. Apro una parentesi: ho fatto tutto investendo tutto quello che avevo, non c’erano discografiche, non c’era l’appoggio economico di una famiglia…

Quando leggi certe cose sulla tua famiglia come reagisci?
Vorrei sottolineare il fatto che, per quante stronzate si sono dette su di me, mio padre ha fatto il professore universitario tutta la vita. La carriera che ha fatto negli ultimi due anni, l’ha fatta per meriti insigni. Sono figlio di gente onesta e l’ho sempre detto. Forse la mia voglia di arrivare a quello che sono oggi e il mio saper fallire e andare avanti e non guardare in faccia a nessuno viene proprio da quanto la mia famiglia siano persone oneste e forse non gli è stato dato quanto gli sarebbe spettato.

“Dovrei a questo punto essere uguale a tutte le persone che cercano il successo costruendo il singolo estivo per forza?”

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Perché “Generazione x”?
Perché io fotografo la mia generazione e, per quanto non abbia fatto un percorso scolastico ordinario, sono una persona curiosa, amo conoscere e amo sapere. Io mi metto vicino alle persone che sanno più di me da sempre e imparo. Mi sono accorto che la fotografia della mia generazione è molto simile alla fotografia della generazione a cavallo tra il ‘65 e l’80. Cioè gente che non crede nella chiesa, non crede più nel matrimonio, non credono forse più in se stessi e in quelli prima. Una delle piaghe più grandi della mia generazione è non sapere chi vorranno essere. Vivono oggi e basta. E anzi cercano i soldi, vanno a lavorare per arrivare a 800/1000 euro. Non capiscono chi vogliono essere e non lavorano per quello. La “Generazione x” è la nostra che non crede in Dio, che mette Dio in qualunque cosa che non è però la religione ordinaria. Che accetta le proprie dipendenze. La dipendenza dalla tecnologia la accettiamo tutti, ma sappiamo che, per quanti lati positivi abbia, ha anche tanti lati non buoni e magari ripercussioni che avrà in futuro.

Perché dici che “Femmina” secondo te – a proposito delle tue canzoni che sono sfumature caratteriali fermate – è una canzone molto rara?
Perché parla di una cosa molto comune, pericolosamente comune, cioè il maschio che si nasconde dietro la virilità. Nel rapporto di coppia quando si arriva a una situazione di stallo e magari una persona dice “Faccio finta di niente”: l’arte della disobbedienza è fare finta di niente, essere uomo ad ogni costo. È un lato pericolosamente comune. “Femmina” fotografa quella sfumatura caratteriale che è molto comune, soprattutto dove sono cresciuto io, nella periferia estrema di Roma, dove per un fatto proprio culturale le persone forse non sono istruite al rispetto della figura femminile, non sono preparate culturalmente. Io sono un po’ allergico a quel mondo lì. Forse ho avuto due fortune. Una capire presto chi volevo diventare: ho capito subito che mi piaceva scrivere, facevo le nottate a 12 anni – prima di andare a vivere da solo in questa comune – in cui anche mia madre mi trovava sveglio a scrivere. E secondo sono stato fortunato perché sono cresciuto non solo con i coetanei, ma con gente più grande di me, anche cinquantenni e, guardandoli, ho pensato che non sarei voluto diventare così. A un certo punto mi sono guardato allo specchio e mi sono detto “Chi cazzo sto diventando?”. Ho visto lo spiraglio della musica allargarsi e ho cercato di inserirmi in quello che sono oggi.

“A un certo punto mi sono guardato allo specchio e mi sono detto “Chi cazzo sto diventando?”. Ho visto lo spiraglio della musica allargarsi…”

Ringrazi Roma?
Io non rinnego nulla di chi sono stato né di dove sono cresciuto. Io sono cresciuto a Roma, una città molto grande dove a volte la gente vive un senso di abbandono, di malinconia. È una città un po’ decadente, ma mega poetica, che regala tanto. Non a caso Rino Gaetano, Mannarino, Coez, tantissimi sono romani. Mi viene da dire Franco Califano, che piaccia o no, è una persona che ha messo le emozioni nei propri brani e che ha lasciato qualcosa di emotivo. Di conseguenza io devo ringraziare tutto quello che è stato, tutto quello che ho passato, devo ringraziare la periferia dove sono cresciuto, la mia città, perché non sarei chi sono oggi se non ci fosse quella. A volte mi trovo a dire “Lo rifarei?” Sì, lo rifarei, perché appunto non scambierei mai quello che c’è oggi con qualcos’altro.

Sei vicino alla lotta agli stereotipi di genere e alle tematiche dei diritti umani…
Sono molto vicino a tutte queste tematiche, molto vicino ai diritti umani, ad aiutare le persone concretamente e non parlo solo della differenza di genere, ma dei diritti umani in generale. Io penso che sia la base, se noi dobbiamo immaginare un futuro. I giovani devono capire che la scelta di pensare in un modo diverso e di essere coraggiosi è possibile ed è doveroso farla. Siamo in un momento sicuramente di transizione della storia dell’umanità. Imprigionare le persone dentro dei recinti significa privarci di un futuro nuovo. Se non partiamo dai diritti umani, da dove vogliamo partire? Mi sembra anche assurdo parlarne oggi, che sia motivo di dibattito, che non sia una priorità! Siamo figli di cento anni di stereotipi pericolosi, di un’Italia basata su questi pericolosi stereotipi, vuol dire che non abbiamo imparato niente dalla storia, se questi sono i presupposti!

“Io sono cresciuto a Roma… È una città un po’ decadente, ma mega poetica, che regala tanto”

8 achille lauro conferenza stampa 15 aprile 2021

Qual è il pensiero costante che hai nel momento in cui ti siedi e vuoi dire una cosa?
In realtà la cosa bella è che io non è che mi siedo e faccio una battaglia sociale. Io prima di tutto vivo una battaglia interna con me stesso, sono una persona abbastanza tormentata, quindi sono stati d’animo forti che poi forse riflettono qualcosa di più. Come appunto “Femmina”. Io mi accorgevo di essere in quel momento imprigionato dietro un “far finta di niente”. Ma quel “far finta di niente” poi è molto di più. È un qualcosa che fa parte del mio carattere e forse del carattere di tanti e forse una sfumatura di qualcosa di pericoloso. Cioè l’indifferenza, lo sminuire qualcosa o qualcuno. Di conseguenza le canzoni sono veramente spontanee, sono un “adesso sono questo, adesso sento questo” e cerco di fermarlo. Qualche volta mi sfugge. Qualche volta magari ho altre cose per la testa e non riesco a scrivere. Qualche volta ho la fortuna di riuscire a fermarlo. Poi io sono uno che si sveglia anche la notte con delle cose in testa e le appunta. Di conseguenza è tutto molto spontaneo. Ma quando poi finisce la cosa di getto e in modo freddo analizzo la canzone, poi dico “Cazzo questa è quella sfumatura caratteriale ed è molto raro per me averla fermata”, come in “Femmina” o in “Marilù”, allora lì analizzo a freddo e dico “Forse c’è qualcosa di più che posso far capire alle persone”. Guarda “Me ne frego”. Canzone spensierata. Performance, costume, palcoscenico, quindi performance a 360°. Chiave di lettura ancora più in basso: manifesto di libertà. Allora c’è chi ci trova il passatempo e io sono contento lo stesso. Ma chi va in fondo capirà poi che c’è qualcosa. Per questo cerco sempre di portare sul palco qualcosa di più e di spiegare bene.

Che cosa Leandro Emede – che io conosco perché ha lavorato molto in Versilia – ha portato in più in questo progetto?
Che bella domanda! Mi fa piacere! Leandro è uno dei nuovi arrivati nella nostra grande family. Io sono molto attento all’occhio della persona e al background che ha. Leandro è una persona di grande cultura, con un grande gusto molto vicino al gusto che ho io. Si è integrato bene nella squadra perché a livello empatico è una bella persona. Nel progetto Achille Lauro, chiamiamolo così, non c’è una porta come nelle aziende che divide il capo dagli altri. Si lavora tutti insieme, ognuno mette il proprio apporto. Ognuno dà il proprio spunto. Io sono uno che ha le idee molto chiare, quindi porto sul tavolo un’idea molto chiara, ma poi mi piace sentire cosa ne pensano gli altri e limare l’idea. Quindi c’è sempre un percorso creativo in evoluzione. Si parte da una cosa e si finisce con quella cosa migliorata. Ognuno ha il diritto e dovere di dire la propria, che sia anche una persona che magari ha un altro ruolo è giusto valutarla e può diventare oggetto di discussione e di dibattito. Leandro è una persona veramente super preparata, con cui mi sono trovato benissimo e ho continuato questo percorso oltre Sanremo. È un esteta.

“In realtà la cosa bella è che io non è che mi siedo e faccio una battaglia sociale. Io prima di tutto vivo una battaglia interna con me stesso”

10 achille lauro conferenza stampa 15 aprile 2021

Un film, una canzone e un libro che ti hanno sconvolto la vita?
Devo risponderti un po’ in generale, perché in realtà non ne esiste uno. Sono stato influenzato da tantissimi generi. Dalle mie citazioni cinematografiche si intuisce! Posso dire nell’ultimo anno mi sono molto appassionato del mondo Christopher Nolan, di quel mondo un po’ fantascientifico, che poi si è visto anche un po’ in Black Mirror, in quelle serie là in cui si immagina un futuro un po’ distopico. Detto questo, io prendo tanto da tutto. L’ispirazione non è solamente libri, film, musica. Per me l’ispirazione è ovunque, è nel parlare con le persone, in quello che vedo, in quello che sento, in quello che sono stato. Mi terrei abbastanza largo, perché non c’è una cosa. Credo che niente nasca dal niente e che tutte le persone siano un bel frullato di tutto quello che sono state. Per questo quando mi paragonano a una persona, dico che probabilmente tutte le persone a cui mi paragonano sono il frutto di altri frullati!

A proposito dei paragoni, parliamo di Renato Zero?
Quando mi hanno chiesto di commentare quello che era uscito, che poi c’era da capire come è stato anche interpretato… Io dico questo: sono d’accordo con Renato sul fatto che di Renato Zero ce n’è uno solo! Ma come di Achille Lauro! Sono due identità molto distinte. Il paragone nella musica è sbagliato, perché per quanto magari il costume ci accomuni, poi ognuno ha dato qualcosa ed è qualcosa di unico ed originale. Sennò non sarebbe ancora oggi un’identità così forte, Renato.

Si era parlato del fatto delle periferie…
È sotto gli occhi di tutti quanto io sia vicino alle periferie. Uno perché sono cresciuto nelle periferie in contesti molto difficili. Due perché i miei amici sono le persone delle periferie e vivono ancora situazioni e in contesti e guerre molto difficili. Di conseguenza io oggi cerco di aiutare, più che con la mia musica, concretamente le persone, le associazioni. C’era stata questa polemica sul fatto che Renato fosse vicino alle periferie. Ma io sono molto vicino alle periferie, ma non lo sto a sbandierare, perché io comunque faccio musica e le cose che facciamo nella nostra vita privata sul sociale siamo contenti che rimangano là, perché poi l’importante è fare e forse non tanto poi dirlo.

“Sono d’accordo con Renato sul fatto che di Renato Zero ce n’è uno solo! Ma come di Achille Lauro!”

Qual è la canzone che hai scritto e che ti piace di più?
Il fatto è che le canzoni che scrivo mi fanno tornare esattamente al momento in cui sono state scritte. Ci sono canzoni che magari ho scritto e che sono stato sveglio per 36 ore e quindi mi ritrovo a mezzogiorno senza aver dormito che continuavo a scrivere, magari con le serrande completamente basse e gli spiragli di luce che entravano. Io vivo, le sento le canzoni. Non saprei dirti una canzone sola. Sono tutti momenti miei molto personali e molto intimi, che soprattutto ricordo, tutti legati alla vita. Per questo ho detto che questo è il mio ultimo disco, perché per me vivere è profondamente legato a quello che faccio. Nonostante abbia tantissime canzoni già scritte, forse 30/40 pezzi già molto a fuoco, che potrebbero essere già presi per una fase di finalizzazione, quindi di discussione con gli altri ragazzi, voglio prima vivere e poi ritornare su quello che faccio per dare me stesso.

Scrivi, canti e dici cose molto belle. Perché allora hai questo tormento interiore, questa malinconia?
Penso che sia una cosa che va oltre la carriera. Penso che chi più chi meno… Penso che sia una cosa proprio dell’essere umano in fondo. Sicuramente il mio carattere è accentuato e vorrei anche vivere nel corpo di qualcun altro per capire se è la stessa cosa! Però per me il mistero della vita e dell’essere umano è una cosa che comunque mi mette alla prova.

Cosa ti piace leggere?
L’ultimo libro che ho letto è “I dieci mondi”, che è un libro buddista, anche se io credo in qualcosa di superiore, non tanto nell’ordinario, quanto in qualcosa di superiore, che si chiami destino o fato o come vogliamo chiamarlo.

“Sono molto vicino alle periferie, ma non lo sto a sbandierare”

7 achille lauro conferenza stampa 15 aprile 2021

Hai quel momento di pace dopo che hai creato o sei sempre tormentato?
Il processo creativo… Io appunto ho diviso questo disco, come dicevo, in due macroaree che poi sono il mio carattere: questa parte molto tormentata e questa che mi spinge a essere un po’ sognatore. Diciamo che la ricerca e il tormento finiscono nel momento in cui finisce la canzone, che per me diventa già vecchia. Io non riascolto nulla di quello che faccio. I miei dischi li ascolto fino al giorno in cui sono pronti e dopo non esiste più nulla. Questa continua ricerca e questo continuo tormento forse fanno parte della mia generazione. A me piace molto anche “Latte+” perché analizza questo “a noi serve di più”. Questa è la generazione della tecnologia che è già vecchia il giorno dopo. Quello che abbiamo è già vecchio. C’è sempre una continua ossessione nel qualcosa di più. Di conseguenza sì, essere tormentato è una sfumatura caratteriale che sicuramente si attenua nel momento creativo, ma che appunto è momentanea.

Poi dopo riprende perché è la spinta, giusto?
Secondo me è la spinta, esatto. Io sono uno che guarda molto al passato con malinconia e guardo al futuro, ma non esiste presente. Per quanto sia forse la cosa peggiore del mio carattere, forse è anche il motore di tutto quello che faccio.

Però sei molto presente in realtà, anche adesso sei molto presente…
Sai che io però vivo la vita cercando di costruire un qualcosa di immaginato. Magari sono presente, ma vivo cercando di costruire qualcosa. Cioè di momenti per me, ne esistono veramente pochi. Io vivo tutto in funzione di quello che voglio sia il mio futuro.

Grazie per essere stato presente in questa occasione, in cui ci hai donato molto al di là della semplice intervista…
Grazie anche a voi. E speriamo di vederci dal vivo al più presto!

LAURO di Achille Lauro copertina
La copertina di “Lauro”

La tracklist di “Lauro”:

PREQUEL
SOLO NOI
LATTE+
MARILÚ
LAURO
COME ME
FEMMINA
A UN PASSO DA DIO
GENERAZIONE X
BARRILETE COSMICO
PAVONE
STUPIDE CANZONI D’AMORE
SABATO SERA

NOTA: Le domande dell’intervista sono state raccolte durante la conferenza stampa tra le domande poste dai giornalisti che hanno partecipato.
Grazie all’ufficio stampa Goigest per aver organizzato la video conferenza (15 aprile 2021).

Li torturo tuttiiiii!!!
Ti piacerebbe essere torturato, ehm… intervistato da me?
Ti piacerebbe parlare di te e raccontare ciò che fai, la tua attività, la tua professione?

L’intervista ti farà uscire dall’invisibilità!
Dai un’occhiata a come funziona! –> Cosa posso fare per te

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