Ultimo aggiornamento 8 Maggio 2022
L’INTERVISTA
pubblicata sul magazine Paspartu 1 aprile 2011
Succede, quando la fantasia scorre nelle vene, di inventarsi un lavoro.
Elisabetta Salvatori ne è un esempio vivente. Di mestiere fa la “raccontatrice”, che non è come dire attrice e nemmeno narratrice. Lei “racconta storie”. Si documenta, scrive e racconta al pubblico, da sola con la sua voce. Nel 2004 ha creato un piccolo teatro nel salotto di casa sua, a Forte dei Marmi!
Scopriamo qualcosa di più del suo mondo…

D: Di te so, da alcuni articoli letti sui giornali, che sei una persona creativa. Immagino che, come quasi tutti i creativi, se ti chiedo “Che lavoro fai?”, avrai tantissime cose da dirmi!
R: Ma guarda, io dico che racconto storie!
D: È un lavoro originale!
R: Sì. Ma se dico attrice, in realtà si tratta di una cosa diversa da quello che faccio.
D: Come mai dici così?
R: Perché se penso a un’attrice, penso a una persona che interpreta un personaggio. Invece io sono sempre me stessa che racconto storie, non sono mai un personaggio.
D: Sei sempre sola sul palco?
R: Sì. Inoltre non c’è mai scenografia. Diciamo che mi sento a metà strada tra il teatro di narrazione di Marco Paolini e quello che sessanta anni fa si chiamava “stare a veglia”.
D: Stare a veglia?
R: La gente stava sull’aia a raccontare storie. Di fatto, io faccio quello in teatro!
D: Hai sempre avuto questa passione?
R: Ho fatto l’Accademia di Belle Arti, pensavo che nella vita mi sarei dedicata a dipingere. Infatti dopo l’Accademia, per un anno, ho provato a fare della pittura il mio lavoro. Ero intenzionata a fare una mostra a Forte dei Marmi. Poi lessi sul giornale che iniziava un corso di teatro proprio qui.




D: E hai deciso di dedicarti al teatro…
R: Andai alla prima lezione con lo scopo di informarmi. Quel giorno c’era una ragazza che recitava il Quinto Canto di Dante. Mi folgorò! La sua forza mi fece capire che nella vita volevo fare quello: raccontare storie. Non ho mai pensato “Vorrei fare l’attrice”.
D: Come sei passata a realizzare questa idea?
R: Da sempre scrivevo racconti e poesie, ma diciamo un po’ come tutti. A un certo punto mi sono detta “Perché non scrivere per raccontare?”. È stato un ragionamento fatto nell’arco di una giornata, non ci ho messo tanto per decidere che quella era la mia strada!
D: Non credo che ci siano molte persone che di professione raccontano storie, vero?
R: Di donne che scrivono e raccontano ce ne sono veramente pochissime. Questo è un bene, perché mi permette di raccontare ciò che voglio con una certa libertà.




Sono Cinzia.
Faccio – con calma! – la giornalista e la blogger, con un occhio attento alla socialsfera.
Amo intercettare e raccontare persone, personaggi e luoghi da scoprire attraverso le interviste, che chiamo scherzosamente “torture”!
Sono appassionata di tecniche e interventi mirati a dare visibilità, come ad esempio la tortura personalizzata o il corretto uso dei social.
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D: Passiamo alla fase in cui hai realizzato ciò che volevi fare…
R: Avevo le idee chiare. Però dall’idea creativa a farla diventare un lavoro, ci voleva l’occasione giusta! Pensai di fare una proposta al Comune di Forte dei Marmi. Chiesi se mi concedevano l’utilizzo di uno spazio in piazza per raccontare favole ai bambini. Ci tengo a dire che non avevo conoscenze in Comune. La mia idea piacque e fu accettata. Così realizzai una rassegna di fiabe per bambini, in piazza a Forte dei Marmi, in estate.
D: Quanto tempo fa?
R: 23 anni fa.
D: Quindi hai iniziato a raccontare ai bambini.
R: Sì. È un pubblico molto difficile quello dei bambini. Bisogna catturare la loro attenzione… Poi ho cominciato a scrivere e raccontare per adulti.
D: Che tipo di storie racconti?
R: Storie toscane. Solo una volta mi sono allontanata dalla Toscana, per raccontare Antonio Ligabue, pittore conosciuto per aver vissuto a Gualtieri (Reggio Emilia). Lo spettacolo a lui dedicato si chiama “Delicato come una farfalla e fiero come un’aquila”.
D: Quindi racconti storie vere?
R: Sì.
“Io poi mi innamoro dei personaggi che racconto!”
D: In che modo ti documenti?
R: Dietro ogni spettacolo c’è un grandissimo lavoro di ricerca. Il 40% di quello che mi serve, lo trovo sui libri. Il resto sono emozioni e le vado a cercare frequentando i luoghi di origine delle persone, cercando di provare le loro stesse emozioni. Cerco di avvicinarmi il più possibile a loro… Io poi mi innamoro dei personaggi che racconto!
D: Parli anche con persone che ti raccontano i loro ricordi?
R: Sì. Mi relaziono con persone anziane. Sono persone splendide. Magari non ricordano cosa hanno fatto il giorno prima, ma ricordano esattamente i particolari e le emozioni provate quarant’anni fa! Per parlare con queste persone vado direttamente nei luoghi dove vivono, perché le persone anziane non è possibile rintracciarle in altro modo, se non parlandoci faccia a faccia.
D: Quanto tempo impiega una ricerca del genere?
R: L’arco di un anno. È vero che sono creativa, ma molto inquadrata. Cioè la mattina mi alzo e lavoro! Scrivo oppure memorizzo ciò che scrivo.
D: Il lavoro di scrittura quanto tempo impiega?
R: Circa un mese. Mi do dei tempi!
D: Poi si passa allo spettacolo…
R: Sì. Che sono io che racconto quello che ho scritto! Al mio fianco c’è sempre il violinista Matteo Ceramelli, che compone e esegue per tutti i miei spettacoli.




D: Quanto dura uno spettacolo?
R: Da un’ora a un’ora e mezzo. Bisogna cercare di non stancare, di non perdere e non disperdere. Condensare tutta la ricerca di un anno nel tempo massimo di un’ora e mezzo di racconto.
D: Qual è il personaggio che hai amato di più?
R: Dino Campana. Racconto di lui in “Viola”. Era un uomo con un grande disagio. In quello spettacolo mi vesto di viola, che in teatro non si usa, proprio per far capire meglio il disagio.




D: Raccontaci con poche parole ogni tuo spettacolo…
R: “Vi abbraccio tutti” sono quattro racconti, quattro lettere che finiscono tutte con la stessa frase, quattro persone che partono dall’Appennino per andare altrove. Due racconti sono di Fabio Genovesi, uno è di Francesco Guccini e uno è mio. “Scalpiccii sotto i platani” è la storia dell’estate del 1944 a Sant’Anna di Stazzema. È un racconto sereno, quasi sorrido, e solo negli ultimi cinque minuti racconto l’eccidio. “La Bella di Nulla” è la storia della mia bisnonna, che era la figlia bella di Beppe di Nulla. “La bimba che aspetta” racconta di marmo e di cave. È la storia di questa scultura che si trova nel cimitero di Viareggio. “Il partigiano Amos” è Amos Paoli, un ragazzo di Riomagno sulla sedia a rotelle, i cui genitori avevano una sala da ballo. “Rose” parla dell’amore. Sono storie d’amore, tutte molto conosciute, che racconto con parole mie. Da Bella e la Bestia a Cyrano e Rossana, dall’Ultimo Tango a Parigi a Paolo e Francesca.
D: Da poco ha debuttato lo spettacolo nuovo, vero?
R: Sì. Ha debuttato al Teatro di Buti il 25 marzo. Il 7 aprile sarò a Castelnuovo Garfagnana al Teatro Alfieri. Si chiama “Piantate in terra come un faggio o una croce”. È la storia di Santa Caterina Da Siena e di Beatrice di Pian Degli Ontani, una Santa e l’altra poetessa pastora analfabeta. Parla di fede e poesia al femminile in epoche difficili, in cui per le donne era complicato fare tutto.
D: Come mai hai scelto proprio loro due?
R: Volevo raccontare una Santa che fosse toscana. Mi sono documentata sugli scritti e andando a Siena. Dell’altra me ne avevano parlato: era un’improvvisatrice in ottava rima, tra l’altro analfabeta! Per quei tempi era un genio! Le due donne hanno in comune la data del 25 marzo: nasce Caterina e muore Beatrice.
D: Nello spettacolo non c’è scenografia e non ci sono costumi…
R: Non ci sono mai. In genere mi vesto di bianco e sempre scalza.
D: Parliamo di questo teatro che hai ricavato nel salotto di casa tua. Che idea geniale!
R: Vivevo qui da bambina, a Forte dei Marmi, in via Francesco Carrara n. 243. Sono tornata a vivere qui con mio figlio Gabriele. Lo spazio mi sembrava troppo grande. Allora ho tolto poltrone e tavoli dal salotto. Da una parte ho creato un palco-pedana, davanti al caminetto. Ho messo dei tendaggi neri come fondale, 50 seggioline nere, una piccola gradinata nera di legno per il pubblico e un’americana per le luci.
D: Quando è nata questa idea?
R: Otto anni fa. Nata e realizzata subito.
D: A livello burocratico hai avuto problemi nella realizzazione?
R: Ho dovuto mettere a norma la sala, con la consulenza di un ingegnere. Ho l’agibilità per 50 persone. Una porta per l’ingresso e una per l’uscita, estintore, luci di emergenza…
D: Che spettacoli fai?
R: Concerti e spettacoli teatrali, tutti in una rassegna che in genere faccio in inverno. Alcuni nomi che sono passati di qui: Bobo Rondelli, Gennaro Cannavacciuolo, Paola Turci, Mario Castelnuovo, Katia Beni, Andrea Cambi. Quest’anno la rassegna sarà nel mese di maggio e sono già confermati Sergio Staino, Elena Guerrini, gli Esterina.
“Dietro ogni spettacolo c’è un grandissimo lavoro di ricerca”
D: Gli artisti come reagiscono alla vista di questo spazio unico nel suo genere?
R: Si innamorano! Dello spazio e dell’idea originale. Dopo ogni spettacolo, offro al pubblico biscottini e Vin Santo. Poi, con gli artisti, ceniamo nella mia cucina.
D: La stampa ti tratta bene?
R: A livello nazionale e locale si interessa molto. Sono soddisfatta. Sono io che informo direttamente i giornalisti e poi funziona molto il passaparola.
D: Parlaci di te, Elisabetta…
R: Sono nata a Viareggio e vissuta sempre a Forte dei Marmi. Mio padre è agente immobiliare e mia madre casalinga. Viaggio molto.
D: Cosa fai nel tempo libero?
R: Pulisco la casa e mi dedico ai fiori e alle piante del mio giardino.
D: Com’è la tua giornata-tipo?
R: Mattina e pomeriggio mi dedico agli spettacoli. Oppure, quando ho le prove, le concentro nel pomeriggio e nella sera. Mi occupo anche della casa, ovviamente! Ogni tanto vado al mare a fare un bagno, ma non faccio vita da spiaggia. Vado spesso al ristorante e mi piace mangiare bene. Non guardo la televisione. Uso internet, ma non sono una fanatica. I testi li scrivo a mano, per comodità.
D: Sei impegnata politicamente?
R: Sono disorientata. Non mi sento rappresentata da nessuno. In passato sono stata impegnata a sinistra, ma al momento non lo sono più.




Chi è Elisabetta Salvatori
Elisabetta Salvatori, attrice e autrice, nasce in Versilia. Dopo gli studi artistici, scopre il teatro e inizia a raccontare. Comincia con le favole, favole e valigie, ogni storia che racconta è racchiusa in una valigia, come un piccolo teatrino viaggiante. Poi si avvicina alla narrazione per adulti e scompare tutto dalla scena, c’è solo la sua voce, che salta dall’italiano al dialetto versiliese, perché quasi sempre è la Versilia che racconta, e il violino di Matteo Ceramelli che l’accompagna. Le storie sono vere, raccolte incontrando e documentandosi. Il primo spettacolo è “La Bella di Nulla”, dove racconta la vita della sua bisnonna, e della Versilia dell’inizio del ‘900. Poi affronta la Versilia della guerra, ed ecco “Scalpiccii sotto i platani”, l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, delicata rappresentazione di teatro civile, e subito dopo “Il partigiano Amos”, storia di un giovane poliomielitico, musicista, torturato e ucciso dai tedeschi sempre in Versilia. Poi “Calde rose”, dove racconta l’amore, “La bimba che aspetta”, storia di marmo e di scultura, “Viola”, dedicato a Dino Campana, e infine “Vi abbraccio tutti”, racconti di partenze e ritorni sulle strade dell’Appennino. Nel 2004, a Forte dei Marmi, nella casa dove vive, crea un piccolo spazio teatrale dove ospita e programma spettacoli.
Li torturo tuttiiiii!!!
Ti piacerebbe essere torturato, ehm… intervistato da me?
Ti piacerebbe parlare di te e raccontare ciò che fai, la tua attività, la tua professione?
L’intervista ti farà uscire dall’invisibilità!
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