Ultimo aggiornamento 18 Maggio 2022

L’INTERVISTA
pubblicata sul magazine Paspartu 16 maggio 2014

Federico Grom: la missione di fare il gelato più buono del mondo!

Abbiamo avuto il piacere di incontrare “il Re del Gelato” in occasione della cerimonia di consegna del “IX Premio Alveare”, organizzato dal Consorzio Le Bocchette, rivolto a tutte le aziende della Versilia che si distinguono a livello locale, nazionale o internazionale, per creatività, impegno e determinazione nei diversi settori delle attività produttive.
Federico Grom è stato lo special guest di questa cerimonia.

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Andrea Montaresi e Federico Grom
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Andrea Montaresi e Federico Grom
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Sono Cinzia.
Faccio – con calma! – la giornalista e la blogger, con un occhio attento alla socialsfera.
Amo intercettare e raccontare persone, personaggi e luoghi da scoprire attraverso le interviste, che chiamo scherzosamente “torture”!

Sono appassionata di tecniche e interventi mirati a dare visibilità, come ad esempio la tortura personalizzata o il corretto uso dei social.
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D: Partiamo parlando di economia… Siamo in una crisi, vero?
R: Ho sentito parlare di crisi in senso positivo. Non siamo in una crisi, siamo nella merda più assoluta, questa è la realtà. E per uscire dalla merda bisogna ripensare il mondo in modo diverso. Oggi “il giusto” può essere qualcuno che 10 anni fa ha deciso di fare il gelataio con una laurea in economia e commercio, oppure chi decide di sviluppare lavori artigianali che fino a poco tempo fa erano visti negativamente. E quindi bisogna ripensare le attività. Quello che i nostri genitori ci hanno insegnato essere grandi lavori sicuri a lungo termine, il bancario, i lavori al comune, alla posta e forse mutarli in qualcosa di diverso e reinventarsi.

“Ho sentito parlare di crisi in senso positivo. Non siamo in una crisi, siamo nella merda più assoluta, questa è la realtà”

D: Voi come vi siete reinventati?
R: Era l’agosto del 2002. Il mio socio, amico fraterno, Guido Martinetti – faceva l’enologo in quel momento, quindi la sua attività non aveva nulla a che vedere con il gelato, mentre io mi occupavo di finanza ed ero direttore finanziario di una piccola multinazionale – venne da me e disse che aveva letto un articolo di Carlin Petrini – uno dei guru che abbiamo in Italia, davvero un uomo illuminato in mezzo a tanti stupidi che popolano le strade romane – dove diceva che non esisteva più il gelato artigianale, non esistevano più quegli artigiani che sapevano utilizzare le grandi materie prime da trasformare in un prodotto finito. Guido, quel giorno di agosto del 2002, si trovava a Barbaresco, che è un luogo direi baciato dal Signore in mezzo alle Langhe, e stava osservando la vigna di Angelo Gaja, una vigna che si chiama San Lorenzo, da cui nasce Sorì San Lorenzo, che è uno dei vini più famosi di Gaja e forse il Barbaresco più caro di tutto il mondo. Guido aveva letto questo articolo di Carlin Petrini, ritornando a Torino, direi più illuminato sulla via di Barbaresco che di Damasco!, venne da me in azienda e mi disse: “Ho letto questo articolo. Secondo me, se mettiamo insieme due competenze totalmente diverse, comprando i migliori ingredienti del mondo, possiamo fare il miglior gelato del mondo” e voi immaginatevi, eravamo in un parcheggio dell’azienda dove lavoravo, in Italia, con una gelateria ad ogni angolo. L’ho guardato come si può guardare un pazzo: solo un pazzo poteva avere l’idea di fare il gelataio in Italia! E infatti, se guardate nella terza di copertina del nostro libro, c’è la nostra foto. Quando ci hanno chiesto di farla, ci hanno detto: “Mettete la giacca, la cravatta, vestitevi bene”… Beh… Noi ci siam messi in camicia di forza! Bene, quell’idea che in quel momento mi è sembrata folle, invece mi è entrata in testa, ho preparato un business plan, che poi era il mio lavoro, perché ho fatto il consulente per qualche anno, un business plan di una cinquantina di pagine con molti grafici, studi dei competitor, cash flow forecast, piani pluriennali economici, come tutti i lavori dei consulenti devo dire molto ben presentato e con tantissimi errori. Dopo due settimane gli ho presentato questo progetto che prevedeva l’apertura di sei negozi in cinque anni, seguendo questa missione aziendale, quella di fare il miglior gelato del mondo. E gli ho anche preparato quella che i grandi consulenti chiamano swot analysis, l’analisi dei punti di forza e debolezza interni ed esterni all’azienda.

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Andrea Montaresi e Federico Grom

D: Quali erano?
R: Gli ho detto: “Guarda, abbiamo un grande punto di forza: siamo molto amici, siamo giovani e certamente sarà una bella esperienza”. Poi arrivano i punti di debolezza: vogliamo fare il miglior gelato del mondo e nessuno dei due sa fare il gelato, primo pilastro. Secondo pilastro: il piano prevede l’apertura di sei negozi e nessuno dei due ha mai aperto un negozio. Terzo pilastro: ci vorrebbero dei soldi e non li abbiamo, nessuno dei due. Abbiamo ipotizzato di mettere 65mila euro in due, quindi 32500 euro a testa. Erano tutti i soldi che io avevo in quel momento. Guido ha fatto un mutuo e siam partiti in quest’avventura, in quel momento stesso. E l’avventura poi si è dipanata in questi anni…

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Andrea Montaresi e Federico Grom

D: E l’avete riassunta nel libro “Grom. Storia di un’amicizia, qualche gelato e molti fiori”
R: Nel libro abbiamo provato a riassumerla. Devo dire che questo libro è stato scritto non tanto per raccontare la nostra storia, che forse è anche un po’ noiosa, ma per infondere nei giovani quella speranza che oggi è necessaria. Bisogna sognare e se non sogniamo e trasformiamo i sogni in attività, invece di andare avanti, continuiamo a regredire e questa è la sensazione che ho girando il mondo: l’Europa, l’Italia ancora di più, stanno scendendo lentamente verso l’inedia purtroppo.

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Andrea Montaresi e Federico Grom

D: Sono 12 capitoli
R: I 12 capitoli sono anche un po’ i temi della nostra storia: amicizia, sogno, passione, determinazione, studio, fortuna (il fattore k funziona sempre!), equilibrio, curiosità, rispetto, fiori, musica insieme e felicità. All’inizio di questo percorso, ci siamo messi a studiare e ci siamo scontrati contro quelli che io, in seguito, ho chiamato i “demolitori di sogni”, che sono quelli che ti dicono: “Ma no, non fare il gelataio, perché stai facendo il dirigente, che cosa ti metti a fare?”, e quindi i primi demolitori di sogni sono normalmente i genitori, che non appoggiano i sogni dei propri figli. Sbagliato! Perché si prepara una via lastricata di fatiche, tutte le mattine in cui uno va a fare un lavoro che non è felice di fare. I secondi demolitori di sogni sono quelli che non sono foolish e che non sognano e che non accettano le idee nuove. Vi racconto un breve aneddoto. Alla prima fiera dove noi siamo andati, ci siamo presentati con la nostra semplice idea, un po’ ambiziosa forse: siamo giovani, non abbiamo soldi, non sappiamo fare il gelato, vogliamo fare una catena vendendo il miglior gelato del mondo e lo vogliamo fare evitando di utilizzare qualunque tipo di additivi chimici. Avevamo quindi necessità di un bancone vecchio, come negli anni Quaranta/Cinquanta, quando gli additivi non c’erano, quello cosiddetto “a carapine”, con i coperchi. Allora, era il 2002, nessuno li utilizzava più. Infatti siamo andati a questa fiera, abbiamo incontrato il proprietario della più grande azienda italiana che produce banconi per gelaterie e gli abbiamo presentato il nostro progetto. Lui dall’alto verso il basso, come un vecchio prete di provincia può fare con i fedeli, ci ha guardato e ci ha detto: “Ragazzi, voi non avete studiato la comunicazione, il marketing, i competitor. Il gelato deve essere venduto a vista. Deve essere venduto a un prezzo basso, con volumi molto importanti. Io ho imparato una cosa nel gestire la mia azienda: non faccio né preventivi né fatture a clienti che non sono in grado di pagarmi entro sei mesi. Voi entro sei mesi fallirete”. E questa è stata la nostra partenza! (ride)

“I primi demolitori di sogni sono normalmente i genitori, che non appoggiano i sogni dei propri figli”

D: Voi siete imprenditori giovani
R: Sì. Devo dire che anche io ho scoperto di essere nella parte discendente della collina, perché sono in quella fascia in cui sono da rottamare (ride). Ma vivendo il mondo, a seconda di dove ci si trova, il giovane ha delle connotazioni diverse. Per cui, io in Italia sono un imprenditore molto giovane, in Giappone sono un imprenditore giovanissimo, baby, in California, dove abbiamo un negozio, sono sul viale del tramonto! Quindi a seconda dei posti il giovane è individuato diversamente.

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Andrea Montaresi e Federico Grom

D: Avete puntato sui giovani
R: Fin dal principio noi abbiamo puntato sui giovani. D’altra parte nessuno dei due aveva trent’anni, quindi non potevamo fare diversamente. Oggi abbiamo circa 600 collaboratori sparsi su 60 negozi tra Torino (il primo), Viareggio, Milano, Venezia, Tokyo, Osaka, Parigi, Los Angeles, New York… E voglio sottolineare collaboratori e non li ho chiamati dipendenti, perché se sono qua oggi a divertirmi con voi è perché sono io che dipendo da loro! Sono loro che sono dietro il banco, sono loro la faccia e l’immagine dell’azienda, pur essendo il mio cognome fuori dal negozio.

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D: Uno dei capitoli l’avete intitolato “Musica”
R: Sì, perché qualunque azienda è un’orchestra e bisogna suonare tutti insieme, ci deve essere un direttore d’orchestra, nel nostro caso i direttori d’orchestra sono due, quindi già dobbiamo essere allineati noi due, ma poi non ci deve essere nessuno che stride. Poi quello che trascina è la passione. Non basta inserire dei giovani, bisogna coinvolgerli nel sogno. Senza quello che io chiamo “emotional salary”, cioè la parte emotiva del salario, purtroppo la passione non può crescere e il giovane non può essere coinvolto nell’impresa.

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D: La fortuna si innaffia
R: Eh sì. Il fattore k conta. Devo dire noi abbiamo avuto un culo straordinario e questo certamente è stato un aspetto importante. Dall’altra parte vi cito mio nonno, che è morto quasi due anni fa, un signore profugo da Fiume (per questo il mio cognome è un po’ strano), semplice, aveva fatto la quinta elementare. A me piaceva giocare a pallone, avevo forse 12 anni e, un giorno, ricordo che tornai a casa dopo una partita che non vincemmo e dissi a mio nonno: “Sono stato sfortunato” e lui mi raccontò questa storia. Piove. La pioggia è la fortuna. C’è una persona che la mattina esce. Esce senza ombrello, si bagna, non fa nessuna fatica, è distratto, la sera torna a casa e quella è la persona sfortunata. Poi c’è quello che esce con un secchiello e distrattamente raccoglie qualche goccia di pioggia: quello è mediamente fortunato. Poi c’è il pazzo, che prepara una bacinella fatta a mano, la più grande possibile, quella che può prendere solo allargando al massimo le braccia, si china per terra, raccoglie questa bacinella, esce e insegue tutto il giorno le nuvole più scure. Alla fine della giornata, quello sarà l’uomo più fortunato. Certo avrà la schiena rotta e sarà molto affaticato rispetto agli altri. E questo forse è il riassunto di quello che è la fortuna: la fortuna bisogna andarsela a cercare con la determinazione.

“Eh sì. Il fattore k conta. Devo dire noi abbiamo avuto un culo straordinario e questo certamente è stato un aspetto importante”

D: Come hai fatto, dopo l’inizio, a mantenere il successo?
R: Questa è una domanda che mi faccio tutti i giorni (ride). Aspetta che ci penso e cerco la risposta… Dunque… In realtà credo che uno non raggiunga mai il successo ed è anche un difetto dell’ambizione, quello di spingere sempre più in là l’asticella del successo. Quindi uno deve essere autocritico tutti i giorni e, nel momento in cui tutti credono che l’azienda sia al successo, pensare criticamente ogni singolo processo e ogni singola attività. Faccio un esempio: oggi, con la consapevolezza che praticamente chiunque apre una gelateria in Italia copia Grom sostanzialmente o si ispira a Grom pesantemente – e devo dire le prime volte ero parecchio incacchiato quando vedevo dei cloni perfetti – oggi comincerei a preoccuparmi se non ci fossero più delle copie. Bene, in questo momento, pur essendo un modello di design nella gelateria, stiamo ripensando il design stesso, per non trovarci nella situazione di inseguire anziché essere inseguiti. Quindi, secondo me, uno non deve trovarsi mai nella posizione di quello che dice “Sono arrivato”, ma sempre deve pensare che qualche problema ce l’ha.

D: Parliamo dell’attenzione al biologico e ai prodotti impiegati…
R: Faccio una breve digressione sull’agricoltura e su quello che sono le materie prime. Quale che sia il prodotto food venduto, non si può pensare a qualità a prescindere dall’agricoltura. Qualunque prodotto sia. Agricoltura vuol dire origine e cura della terra e delle metodologie produttive.

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D: Raccontaci come ci siete arrivati
R: Noi eravamo consapevoli che per fare un buon gelato avremmo dovuto comprare le migliori materie prime e quindi fin dal principio ci siamo ispirati anche agli insegnamenti di Slow Food, comprando il cacao in Venezuela e seguendo gli agricoltori terzi che ci fornivano la materia prima. E rompendo delle regole: acquistando per primi nel mondo la pasta di pistacchio senza colorante. Quando noi abbiamo iniziato la nostra attività, il pistacchio doveva essere necessariamente verde. Il fatto di non venire dal mondo della gelateria ci ha permesso di mettere in discussione gli assiomi. Quindi l’ignoranza specifica è diventata creatività. Dopo qualche anno, nel 2006, Guido, che si occupa della materia prima, stava comprando le migliori pesche d’Italia, o almeno così considerate. Comprava una pesca che è una star in Italia e pagata pertanto come una star. Mia madre arrivò dal Monferrato, dove abita, con due cassette di pesche di un albero che sta ai confini di una vigna. Pesche brutte, piccole, non di una particolare cultivar,  un po’ annerite, molto buone. Mia mamma quel giorno ci chiese di fare un sorbetto con quelle pesche. E il sorbetto cosa è nella nostra interpretazione? 50% frutta, la più buona possibile, e 50% acqua naturale di montagna e zucchero. Quindi più è buona la pesca e più è buono il sorbetto, non c’è nient’altro, non c’è nessun maestro gelatiere che si inventa nulla. Il confronto fra le due pesche, la star in Italia e la pesca piccola e brutta di mia mamma, fu disastroso! Nel senso che la pesca di mia mamma era decisamente più buona. In quel momento, al di là dell’incazzatura di Guido, abbiamo deciso di comprare i migliori terreni disponibili in Piemonte e di fare la frutta buona. In quel contesto io mi sono reso conto che tutti quanti noi, io compreso, siamo costretti ad andare al supermercato, ma anche nelle boutique di frutta del centro delle città, e compriamo la frutta bella, non quella buona. Il prezzo della frutta, l’ho scoperto negli anni, è fatto dalla pezzatura: quindi se una pesca è pezzatura 16, che è una misura standard che indica che in una cassetta di frutta ci stanno 16 pesche, costa di più rispetto a una pezzatura 24, quindi più piccola. Il colore è fondamentale: le pesche devono essere rosse, perché sembrano più mature anche quando vengono raccolte verdi. Cosa abbiam fatto? Abbiam cercato i vigneti, perché il vigneto è la terra più nobile. Abbiamo comprato quegli otto ettari, abbiamo espiantato i vigneti con i contadini che si strappavano i capelli dalla testa e abbiam piantato cultivar di frutta, per cercare la qualità organolettica e non la qualità estetica. Oggi Mura Mura, che è la nostra azienda agricola, è la più grande azienda di frutticoltura della provincia di Asti, è stata eletta Oasi del WWF, perché è un’azienda biologica e che sta tendendo alla biodinamica. E qual è il fondo? Che per fare una buona coppetta di gelato bisogna partire da un eccellente letame: se non si parte da una buonissima merda, non possiamo avere un grande prodotto agricolo! (ride)

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Chi è Federico Grom

Federico Grom nasce a Torino nel 1973. Imprenditore. Economista. Fondatore con Guido Martinetti dell’omonima azienda di gelato (detengono entrambi il 45,24% delle quote della Spa).

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Guido Martinetti e Federico Grom

L’azienda Grom

Nata nel 2003, ha 65 punti vendita in tutto il mondo (di cui 56 in Italia, tre negli Stati Uniti, tre in Giappone e uno a Parigi), 600 dipendenti, un fatturato di 28,7 milioni di euro nel 2012. Le materie prime, selezionatissime e prive di additivi, coloranti e conservanti, sono tutte mescolate nel laboratorio principale di Torino e le miscele liquide vengono poi distribuite tre volte a settimana nei vari punti vendita. Agli inizi, compravano la frutta migliore dai contadini piemontesi. Poi, per controllare meglio la filiera, hanno acquistato i frutteti e li hanno chiamati Mura Mura.

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Federico Grom e Guido Martinetti
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Guido Martinetti e Federico Grom

FOTO DI LUCA ROSSI

RINGRAZIAMO CHIARA SERRELI PER LA GENTILE COLLABORAZIONE

Li torturo tuttiiiii!!!
Ti piacerebbe essere torturato, ehm… intervistato da me?
Ti piacerebbe parlare di te e raccontare ciò che fai, la tua attività, la tua professione?

L’intervista ti farà uscire dall’invisibilità!
Dai un’occhiata a come funziona! –> Cosa posso fare per te

*Cosa puoi fare per me?*
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